L’attuale parroco di Cristo Re ha quella lucentezza negli occhi di chi gode e sperimenta ciò che fa. Uno sguardo vocazionale. Juan José Calles Garzòn, detto “Juanjo”, (1960) proviene da Vitigudino, da una famiglia numerosa, era il quinto di nove fratelli (di cui in vita otto). Della sua infanzia, questo sacerdote ricorda suo padre, umile lavoratore di una industria di carbone e legna, che morì all’età di 54 anni lasciando sua madre vedova, che definisce “donna coraggio”, poiché in questa situazione, Calles è certo che Dio protegge le vedove e le benedice perché possano andare avanti
La sua prima chiamata alla vocazione religiosa avvenne presto, quando aveva 10 anni. Suo padre aveva un fratello religioso, Trinitario, che in un’occasione aveva visitato la città alla ricerca di vocazioni, e aveva chiesto “Chi vuole entrare in seminario?”, e Juanjo aveva alzato la mano.
“Mio padre, venuto a conoscenza di questa decisione, mi guardò negli occhi e mi chiese se fosse vero, ed io gli risposi di sì”, ricorda. Il padre accettò che suo figlio andasse a studiare all’età di 10 anni nel seminario minore dei Trinitari in Alcazar de San Juan, nella Ciudad Real. “Lì ricevetti la formazione primaria e secondaria, e durante le feste facevo ritorno a Vitigudino”, afferma.
“Nella vita mi ha segnato essere vicino ai malati, alla fragilità umana”
A seguito di questa iniziale tappa formativa visse la sua seconda chiamata alla vocazione religiosa. Concretamente, la chiamata giunse all’età di 17 anni, dopo aver concluso il liceo, al momento di decidere se continuare o meno il noviziato. “Ed insieme ad altri compagni facemmo questo passo e ci preparammo per diventare religiosi trinitari”. La sua formazione antecedente fu essenziale, così come la vita insieme ai suoi compagni, “ma soprattutto ricevetti la chiamata personale di Dio verso di me e non verso un altro, per vedere la bellezza della vita religiosa” precisa Juanjo Calles.
Fu nel sud della Spagna, lontano da Vitugudino, terra natale, che iniziò il noviziato, in un istituto di Carmelitane, insieme a giovani religiosi. Al termine degli studi secondari superiori gli diedero la possibilità di studiare Teologia a Roma, Granada o Buenos Aires, e fu in quel momento che sentì la chiamata missionaria dirigendosi verso l’Argentina. Aveva 18-19 anni, in quel posto conobbe ciò che definisce Teologia popolare. In passato era già entrato in contatto con il cammino neocatecumenale, “che sarebbe stato decisivo nello sviluppo della mia vocazione”. Per Juan José Calles Garzòn, il fatto che esistessero comunità religiose formate da laici, cristiani, gente comune che vivevano la fede insieme e in comunione, “fu una rivoluzione”.
“Io rivendico la teologia pratica, fatta dal basso, nella parrocchia”
Quando giunse a Buenos Aires, nel febbraio del 1981, visse un discernimento profondo, “dove Dio mi chiamava ad essere sacerdote secolare” e così comunicò la sua decisione di diventare presbitero ai superiori dell’ordine dei Trinitari. “Andai via dalla missione ma Dio mi chiamava ad essere presbitero, e ritornai a Vitugudino”.
Ebbe inizio a Salamanca la sua formazione nel seminario maggiore, che in quel momento si trovava a Villamayor, con la finalità di entrare a far parte della Diocesi. Calles studiò Teologia nell’Università Pontificia ed ebbe tra i suoi professori Monsignore Ricardo Blázquez, arcivescovo attuale di Valladolid.
La sua prima esperienza pastorale si svolse a Guijuelo, nell’anno 1988, dove venne ordinato diacono il 16 aprile dello stesso anno. Il 25 settembre fu ordinato sacerdote a Vitugudino da Antonio Ceballos, vescovo di Ciudad Rodrigo. L’ordinazione sacerdotale di un figlio del “paese” fu considerato un grande evento quel giorno.
Da sacerdote la sua prima destinazione fu Guijuelo, come parroco di El Guijo de Ávila y Campillo. Contemporaneamente, per un breve periodo (tre anni) insegnò Religione nella scuola di Guijuelo.
In questa prima destinazione da sacerdote fu segnato da diversi fatti, come lui stesso riconosce, ma in particolare, dai malati, “l’esperienza della fragilità umana, il vedere come i malati spesso ascoltino ed accolgano la figura del sacerdote”, esperienza vissuta nelle zone rurali. A Juan José Calles colpiva il fatto di visitare i malati ogni settimana, “portare il sollievo della Parola, dei Sacramenti, della compagnia, è una grazia impagabile, ascoltare i loro racconti, segnati dalla Croce della sofferenza della malattia, ti seminano nel cuore grande pace, tranquillità e serenità”.
Un altro fatto vissuto a Guijuelo fu la realizzazione di un monastero, delle Sorelline di Betlemme e dell’Assunzione della Vergine, dal 1993 al 1999, del quale fu cappellano e delle quali riconosce l’“enorme” forza spirituale. In questa destinazione rimase dal 1988 al 1999. Durante questa fase concluse la tesi di dottorato, che conciliava con la vita pastorale. “Sono un prete abbastanza irregolare, tutti quelli che prendono il dottorato si recano a Roma, io invece affermo la Teologia pratica, fatta dal basso, dalla parrocchia, dalla comunità, dall’esperienza di vita…”, afferma. Per Calles, la parrocchia è uno spazio teologico, di riflessione… Il titolo della sua tesi fu: “Il cammino neocatecumenale, un catecumenato parrocchiale”.
Successivamente, iniziò ad insegnare in tutto il mondo, come professore di un’università itinerante, a Berlino, in Brasilia, o a Guam (Pacifico). “Percorrevo 50.000 chilometri l’anno, a servizio della pastorale parrocchiale e delle comunità neocatecumenali di Salamanca”, afferma. Nel 1998, all’età di 38 anni, “mi attendeva un’altra sorpresa”, quando il vescovo Don Braulio lo nominò vicario di pastorale, “dovevo assumere responsabilità molto serie ed importanti”. Per Calles rappresentò un grande ed importante cambiamento, a servizio della Chiesa di Salamanca.
Nell’anno 1999 si occupò insieme ad un altro sacerdote di 14 parrocchie delle zone rurali, distribuite in solo 40 chilometri, fase che Juan José considerò “preziosa”. Si trattava di una pastorale itinerante, “molto missionaria”, perché credeva che per essere nelle zone rurali, “fosse necessaria una mistica evangelica speciale, per vedere, nel volto degli anziani e dei malati, Cristo, solo e abbandonato”. Perché come ribadisce Calles, oggigiorno nel mondo rurale, “rimaniamo solo i sacerdoti”.
Nell’anno 2005 giunse alla Parrocchia di Cristo Re, nel quartiere Vidal di Salamanxa, come amministratore a seguito della malattia del parroco, e un anno dopo, prese possesso come parroco, dopo la morte del suo predecessore. Da quel momento ebbe anche l’incarico di delegato di Famiglia e Vita, “ancora in carica, in attesa che sia rinnovato”.
Contemporaneamente al suo cammino pastorale, accompagnò alla crescita e alla maturità tanti giovani nelle comunità, “io sono stato testimone della nascita delle giornate mondiali della gioventù, che istituì San Giovanni Paolo II nel 1984, e Dio mi ha dato la grazia di viverle tutte, viaggiando con tre Papi tutto il mondo, tranne Buenos Aires e Manila.
Juan José Calles è convinto che al giorno d’oggi, nella Chiesa, per vivere con vigore la fede, sia “necessario un contesto comunitario, avere una comunità di riferimento senza la quale ci divorerebbe la secolarizzazione dell’ambiente”. A suo parere, uno dei sintomi del languore e della anemia spirituale dei nostri cattolici, “è la mancanza di referenti comunitari dove vivere, celebrare, condividere e annunciare la fede.”
A tal proposito, afferma che nelle persone che vivono nelle zone rurali permane un sostrato di comunità umana, “ma il cattolicesimo rurale sta finendo, stanno sparendo”. Juan José Calles ribadisce che le chiese si stanno indebolendo sempre di più, “stiamo vivendo un cambio epocale, stiamo uscendo dalla cristianità, sta morendo il cristianesimo sociologico, stiamo entrando in un cristianesimo di convinzioni”. Calles ricorda che coloro che desiderano essere cristiani nel terzo millennio, “dovranno rischiare, a tutti i livelli, poiché finora il peso gravava sui presbiteri, che ogni giorno diminuiscono, siamo un ministero in via d’estinzione che ha bisogno di essere accudito e coltivato”.
Nel primo dei quattro libri da lui scritti circa la sua tesi di dottorato, sostiene che per l’evangelizzazione “è necessario un catecumenato”. Inoltre, crede che sia necessario dare una svolta e non essere più così concentrati all’iniziazione cristiana nei bambini, ma “focalizzare l’attenzione sugli adulti, perché un adulto convertito rinnova una Chiesa.” Attualmente, nella parrocchia ci sono cinque comunità neocatecumenali, per un totale di 150 persone. “I fedeli laici lavorano più di me”, sottolinea nel raccontare il lavoro pastorale che realizzano queste comunità.
Fonte: kairosterzomillennio.blogspot.com/2020/02/juan-jose-calles-garzon-para-vivir-con.html
Traduzione dallo spagnolo di Maria Pilar Cappelli